La straordinaria funzione sociale della scuola
La crisi della scuola italiana è profonda. Interseca una tale molteplicità di aspetti e problemi che riuscire a portarli a sintesi, in un serio tentativo di analisi prima e proposta poi, appare cosa complessa. E sappiamo bene come è difficile governare la complessità. La scuola sembra avere smarrito la sua funzione originaria di formazione collettiva ad una cultura e risulta inadeguata ad individuare i valori fondamentali di base da trasmettere alle nuove generazioni. Tutti siamo consapevoli della precarietà dell’assetto strutturale del sistema educativo, dell’incapacità ormai conclamata di creare, nel periodo dell’obbligo, una seria “base di competenze”, del grande divario presente fra licei umanistici ed istituti tecnici, della inconsistenza della riforma della scuola superiore, che appare come una storia infinita, e della fragilità della tanto discussa riforma 3+2 dell’università.
La crisi della scuola italiana riguarda la profonda disaffezione degli alunni (che sfocia anche nei terribili fenomeni di bullismo e di dispersione scolastica), il disimpegno di una parte del corpo insegnante, la fragilità della famiglia e, soprattutto, la ormai evidente inadeguatezza dei percorsi scolastici. La scienza ha privilegiato alla ricerca concettuale lo sviluppo dei suoi linguaggi applicativi: le tecnologie e su queste ha concentrato gli apporti innovativi; così la pratica ha superato la scienza,con tutti i rischi che ciò comporta.
La decadenza della cultura scientifica e la diffusione di un analfabetismo scientifico e tecnologico, che inizia nella scuola, è sicuramente alimentato in egual misura da coloro che presentano in modo magico e acritico ogni risultato scientifico e tecnologico e da coloro che escludono la scienza dalla cultura, riducendola a mera abilità pratica. Sotto l’influsso di teorie pedagogico-didattiche la scuola si sta trasformando da luogo di formazione e di cultura in laboratorio di metodologie dell’apprendimento.
E’ necessario anche riflettere sul fatto che viviamo in una società in cui, con una libertà ed una disinvoltura quasi assoluta, si parla di qualunque cosa e si comunica davvero tutto. Il vecchio confine fra libertà e licenza è saltato. Ne prendiamo atto. Ma prima di esprimere giudizi di valore sul piano del costume ,abbiamo bisogno di valutarne le conseguenze sul piano del gusto collettivo. Se non esiste più alcuna censura su “cosa” comunicare,diventa decisivo “come” comunicare. Nella transizione verso questi nuovi modelli comunicativi il ruolo principale è assegnato alla scuola che, consapevole della sua funzione formativa,può, proponendo una nuova progettualità didattica, interagire in modo dinamico con la società.
Le indagini effettuate nella scuola italiana hanno individuato, anche in questo settore, enormi problemi:da una parte la comunicazione è realizzata come comunicazione unidirezionale da parte del docente,d’altra parte,non di rado coloro che si accostano nelle attività didattiche alle nuove tecnologie focalizzano la loro attenzione solo nell’aspetto tecnico e trascurano di considerare che, il loro impiego impone una ricostruzione generale delle strategie di insegnamento e di apprendimento. Le nuove tecnologie non possono rappresentare solo una veste nuova per modelli vecchi, ma la possibilità di cogliere opportunità prima inaccessibili.
Nella comunicazione educativa l’insegnante deve guidare l’alunno non solo a “pensare il mondo” ma anche a “pensare se stesso che pensa il mondo”.
Il nostro sistema scolastico, ancora lontano dagli standard qualitativi delle scuole europee, pertanto, deve essere rilanciato e potenziato. Ciò potrà avvenire solo quando ai numeri ed ai bilanci si contrapporrà l’esigenza di una scuola funzionale, moderna e al passo con i tempi e, quindi, quando si deciderà di investire seriamente su di essa.
Il luogo di formazione per eccellenza delle classi dirigenti che avranno in mano il destino della nostra nazione non può più continuare ad essere, inoltre, terreno di scontro politico fine a se stesso. Al contrario, deve diventare fonte di dialogo e di confronto per individuare seri e condivisi percorsi di valorizzazione, nel pieno rispetto dei principi di equità sociale e di garanzia del diritto alla studio sanciti dalla Costituzione, così da poter raccogliere e vincere le nuove sfide che provengono dalla Società dell’Informazione e dalla globalizzazione.
E’ necessario riconoscere alla scuola la sua straordinaria funzione sociale, accrescere i finanziamenti ad essa destinati, ricercare sinergie con quanti operano nel settore, non imponendo decisioni prese dall’alto e, soprattutto, non infierendo contro quanti operano nel mondo della scuola con asserzioni mortificanti e degradanti, ma affiancandoli per migliorarsi e migliorarci. Ecco perché il dibattito in atto in questi giorni sul ritorno al grembiulino o al maestro unico non mi appassiona più di tanto. Sono fortemente preoccupata, invece, delle politiche miopi ed eccessivamente ragionieristiche del Governo-Berlusconi, perché non intravedo in esse nessun elemento di sostegno alla istituzione scolastica, condizione essenziale per uno Stato che vuole crescere e progredire.
Su questi temi avverto una domanda diffusa di confronto e di dibattito che non può più restare disattesa o inascoltata. Le istituzioni, i partiti, le forze sociali ed economiche hanno il dovere di raccogliere questa domanda e di rilanciarla, soprattutto alla luce dei recenti pesanti tagli effettuati dal Governo che prevedono la riduzione di migliaia di posti di lavoro nei prossimi tre anni e che comporteranno la fine dell’erogazione del servizio scolastico, in particolare, in tantissimi piccoli comuni calabresi, dove la scuola rappresenta il principale, se non l’unico, presidio culturale.
Se è vero, come è vero, che la cultura è l’unico strumento capace di liberare la nostra regione dal sottosviluppo, dalla ‘ndrangheta e dal malaffare e di creare le condizioni per avviare un serio riscatto delle nostre popolazioni, facendole guardare con fiducia e serenità al loro futuro e a quello dei loro figli, non sono concessi più alibi, scuse o tentennamenti. Tutti abbiamo il dovere di mobilitarci per affermare un livello di confronto e di dialogo che, prescindendo dagli schieramenti e dalle appartenenze, abbia a cuore solo il futuro della nostra terra e della nostra gente.
Rende,lì 15/09/2008
Delly Fabiano
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