Libertà e licenza

3 aprile 2011 - Interventi

Viviamo in una società che con una libertà ed una disinvoltura quasi assoluta parla di qualunque cosa e comunica davvero tutto.
In quella piccola parte di mondo che vive in regimi democratici la libertà di comunicare qualunque cosa in ogni luogo sembra ormai essersi affermata come un diritto irrinunciabile.

Il vecchio confine tra libertà e licenza è saltato. Ne prendiamo atto. Ma, prima di esprimere giudizi di valore sul piano del costume, abbiamo bisogno di valutarne le conseguenze sul piano del gusto collettivo.
Se non esiste più alcuna censura su ”cosa” comunicare diventa decisivo “come” comunicare. Possiamo parlare di tutto ma non possiamo farlo in qualsiasi modo.

E nella transizione verso questi nuovi modelli comunicativi il ruolo principale è sicuramente assegnato alla scuola, che, consapevole del ruolo formativo che possiede nella crescita della personalità dello studente, può,proponendo una nuova progettualità didattica, interagire in modo dinamico con la società.

Le indagini effettuate nelle scuole italiane hanno individuato grossi problemi: da una parte la comunicazione è realizzata come comunicazione unidirezionale da parte del docente, il quale presenta un contenuto specifico della propria disciplina agli studenti di una classe, impegnandosi a fondo dal suo punto di vista nel modo più chiaro possibile, lasciando ad essi la possibilità di intervenire solo per chiedere chiarimenti e spiegazioni integrative.

Dall’altra parte, non di rado coloro che si accostano nelle attività didattiche alle nuove tecnologie focalizzano la loro attenzione solo nell’aspetto tecnico e trascurano di considerare che, affinché il loro impiego sia veramente proficuo, impone una riconsiderazione generale delle strategie d’insegnamento e di apprendimento.

Non possiamo pensare di utilizzare il computer come veste nuova per modelli vecchi, ma dobbiamo guardare al computer come alla possibilità di cogliere opportunità che non erano possibili prima.

La comunicazione deve essere reale e non una sorta di trasmissioni e di divulgazione. Nella comunicazione educativa, l’insegnante deve guidare l’alunno non solo a pensare “il mondo” ma anche a pensare “se stesso che pensa al mondo”.

Per questo è necessario che si attui come un pensare assieme per elaborare contenuti e giudizi di valore. Ma per capirsi e quindi per “pensare insieme” i due interlocutori devono andare al di là cognitivo dell’epistemologico, cioè devono ripartire dalle presupposizioni, dalle condizioni psico-sociali, dai vissuti e tenere conto che la comunicazione a questi livelli non si confina nella problematica del linguaggio, della semantica, del significato, perché mette in gioco elementi più profondi, più sfumati quali l’intenzionalità, la volontà, la coscienza.