L’opinione di Delly Fabiano

13 gennaio 2012 - Interventi

Quando è nato il progetto Europa, le condizioni disastrose di allora hanno portato ad individuare nell’economia lo strumento chiave per iniziare la costruzione dell’ambizioso progetto.

L’integrazione economica promessa però non è stata realizzata e le difficoltà dei nostri giorni rendono evidenti le debolezze di un’organizzazione sociale rigorosamente sottoposta alle regole di mercato.

Il processo integrativo dell’Europa al quale abbiamo guardato con tanta attesa ha trascurato completamente il piano politico.
Abbiamo il mercato delle merci, il mercato della finanza, la moneta unica ma non abbiamo ancora reali politiche economiche.
E soprattutto ci accorgiamo che i processi decisionali che li riguardano sono rimasti di fatto appannaggio degli stati nazionali.
Questa è una delle cause,forse fra le più significative della crisi economia europea. E’ il vero grande limite dell’unione,perché al di la dei buoni propositi, impedisce all’unione di fare politiche comuni a favore della crescita e dell’occupazione.

Ci accorgiamo anche che l’Europa non sembra comprendere i cambiamenti che stanno avvenendo. La progressiva attenuazione delle certezze, la perdita dei grandi riferimenti religiosi come degli assoluti filosofici, hanno profondamente modificato la politica,l’etica,i costumi sociali e l’atteggiamento psicologico dell’uomo di questo secolo.

La scienza ha limitato la ricerca concettuale ed ha privilegiato lo sviluppo dei suoi linguaggi applicativi: le tecnologie.
Nel “villaggio globale” la nuova rivoluzione è lo “strumento conoscenza” e l’innovazione intesa come sviluppo della conoscenza è ormai diventata non solo l’unica possibilità di sopravvivenza per la società ma una regola di vita per gli individui.
La strategia di Lisbona ha avuto una grande intuizione quando ha posto, per la prima volta ,al centro dell’interesse europeo la questione dell’innovazione e della ricerca .

E quando abbiamo pensato allo “Spazio Europeo della ricerca” come ad una sorta di mercato unico della conoscenza ci siamo sentiti molto più sicuri, convinti come eravamo di avere trovato la strada giusta per promuovere la crescita e la competitività.

Ci accorgiamo oggi che sarà possibile realizzarlo solo se ci saranno maggiori finanziamenti per la ricerca e contemporaneamente avvertiamo che non basta chiedere di più dal momento che, ignorando l’ammontare dei finanziamenti a disposizione, diventa impossibile una seria progettazione. E’ necessario quantificare questa richiesta ed anche rivedere il rapporto tra mondo della ricerca e mondo dell’industria. Innovare con le nuove tecnologie rende indispensabile creare nuove iniziative che riuniscano aziende, istituti di ricerca, mondo finanziario e istituzioni.

Lo scarto sempre più incisivo tra la produzione della conoscenza scientifica e la capacità di trasformare questa conoscenza in innovazione tecnologica è forse una delle principali cause della scarsa competitività dell’economia europea. Il trasferimento tecnologico è reso ancora più faticoso dalla presenza nel tessuto industriale europeo di un grandissimo numero di piccole e medie imprese.
Molte di queste sembrano non credere all’importanza della ricerca e sono comunque bloccate dalla difficoltà che hanno ad accedere ai diversi finanziamenti.

L’Europa ha soprattutto bisogno di una rete di capaci intermediari in grado di convertire i risultati della ricerca accademica in elementi produttivi per l’industria. Dobbiamo creare le condizioni perché nasca una nuova classe di imprenditori, creare le opportunità affinché i nuovi laureati attraverso dottorati, stage, master possano frequentare ambiti che favoriscano i contatti con il mondo del lavoro.
E’ arrivato il momento di chiederci come mai l’Italia si trova negli ultimi posti per l’utilizzo delle nuove tecnologie, per la valorizzazione dei talenti e quindi per la creatività e per l’indice di innovazione.

La verità è che in Italia viviamo in un sistema composto da tanti sottosistemi che assorbono e sprecano risorse sia umane che finanziare, accrescendo il debito pubblico e gli sprechi, rendendo buio il futuro dei nostri giovani. Il nostro sistema penalizza e mortifica merito e professionalità; la retribuzione è ancora legata all’anzianità di servizio e sempre più spesso a rapporti clientelari. Università, cultura, istruzione ne risentono fortemente. E’ necessario aggiungere altro per individuare le ragioni del nostro declino? La lunga protezione assicurata al sistema delle imprese non solo non ne ha favorito il rinnovamento ma, al contrario, ha determinato la caduta della competitività.

E ancora più preoccupante è che questo stato di cose ha investito professioni, lavoro autonomo, logiche produttive ed ha creato una serie di corporazioni che ha danneggiato, per i costi elevati delle prestazioni professionale, tutti i cittadini. La forte azione delle lobbie ha di fatto impedito ai giovani di riuscire ad entrare nel sistema produttivo.

Guardiamo sempre più scettici alle mosse di una politica senza progetto. La razionalità ci suggerisce che per rilanciare l’economia abbiamo bisogno dell’assunzione di una responsabilità collettiva.
Lavoriamo per la realizzazione dell’obiettivo.