Inviato 22- 09 -2005

3 aprile 2011 - Interventi

Ne siamo consapevoli: il processo integrativo dell’Unione, al quale abbiamo guardato con grande attesa, ha trascurato il piano politico.
L’integrazione economica promessa non è stata realizzata. Abbiamo il mercato delle merci, il mercato della finanza, la moneta unica, ma non abbiamo ancora le reali politiche economiche e ci rendiamo conto che i processi decisionali che le riguardano sono rimasti di fatto appannaggio degli Stati nazionali. E’ questa una delle cause, forse tra le più significative, della crisi dell’economia europea. E’ il vero grande limite dell’Unione perché, al di là dei buoni propositi, impedisce all’Unione di fare politiche comuni a favore della crescita e dell’occupazione.

La mancata innovazione nei processi produttivi è un enorme problema che rischia di affossare ancora di più la nostra economia se non riusciamo ad individuare strategie comuni ed a dare risposte concrete ai problemi. Sembriamo non renderci conto che in questo “villaggio globale” l’innovazione rappresenta non solo l’unica chance di sopravvivenza per la società ma anche una regola di vita per gli individui.

Rappresenta una scommessa, forse l’ultima possibilità che l’uomo ha di ripensare e di riflettere non solo sul proprio passato, ma anche e soprattutto sul modo di costruire il proprio futuro. La progressiva attenuazione delle certezze e la perdita dei grandi riferimenti religiosi, come degli assoluti filosofici, hanno profondamente modificato la politica, l’etica, i costumi sociali e l’atteggiamento psicologico dell’uomo di questo secolo.

La scienza ha limitato la ricerca concettuale ed ha privilegiato lo sviluppo dei suoi linguaggi applicativi: le tecnologie. Ci troviamo di fronte non solo ad una rivoluzione tecnologica ma ad una vera e propria rivoluzione intellettuale dal momento che è cambiato il modo in cui scambiamo la conoscenza. Imparare di nuovo a conoscere nel modo giusto e con gli strumenti appropriati è una nuova rivoluzione. Sono cambiate tutte le attività in cui la conoscenza viene usata per produrre valori e vantaggi aggiuntivi.

E l’Europa sembra invece vivere in una sorta di passività e sembra non comprendere pienamente i cambiamenti che stanno avvenendo. Se vogliamo dare risposte ai nuovi bisogni, ai nuovi rischi ed alle nuove povertà, se vogliamo pensare ai giovani che si aspettano non una assistenza pubblica passiva, ma la creazione di nuove opportunità che li mettano in condizione di utilizzare le loro potenzialità, abbiamo bisogno di puntare sull’innovazione. E poiché l’innovazione ha a che fare con il cambiamento, per definirla e rilevarla è necessario il confronto tra il prima ed il dopo. La tecnologia senza scienza e conoscenza non ha gli strumenti per valutare l’utilità, la pericolosità, l’etica delle cose.

E’ necessario trovare una nuova capacità progettuale che parta dagli obiettivi che si vogliono raggiungere e successivamente dalla ricerca delle risorse necessarie e non dobbiamo procedere al contrario come è successo fino ad ora. Abbiamo bisogno più che mai di coniugare semantica e sintassi, di valorizzare le risorse cognitive, le capacità di apprendimento e le competenze e cioè trattare una classe di beni che detengono una peculiarità, quella di essere difficilmente osservabile, difficilmente manipolabile.

Il segnale deve partire dalla politica che deve essere capace di compiere grandi scelte, che deve trovare il coraggio per un nuovo rilancio ed un nuovo riformismo e che deve soprattutto recuperare i valori che abbiamo da tempo dimenticati. Guardiamo con fiducia alla strategia di Lisbona che ha avuto la grande intuizione di porre per la prima volta al centro dell’interesse europeo la ricerca e l’innovazione.

Delly Fabiano